venerdì 23 marzo 2012

Desert Island # Paul Simon - Graceland (1986)

Ovvero i dischi da portare su un'isola deserta, assieme ovviamente ad un buon impianto stereo per poterli ascoltare.


Comincia oggi una nuova rubrica qui su Matilda Father Blog Radio dedicata a quei numerosi dischi del passato, anche non troppo remoto, che sono stati per moltissimi di noi per certi versi un'illuminazione nel nostro cammino giovanile verso il rock. Bagaglio di suoni che hanno formato i nostri gusti musicali, a volte in maniera traumatica, altre volte sfiorandoci soltanto, sempre comunque portatori inesorabili di cultura sonora che si è inculcata nelle nostre menti per mai più abbandonarle.

Nella prima puntata sono moralmente 'costretto' a parlare di Graceland, dell'immenso Paul Simon. Il primo album (primo di una lunga serie) che ho acquistato per due volte perchè l'lp originale dopo qualche anno di ascolti aveva preso a saltare in alcuni punti (poi l'ho ricomprato anche in cd, ed in effetti si tratta del primo e unico album che ho acquistato per ben tre volte). Non potevo quindi non partire dal più grande capolavoro che la illuminata mente di quel piccolo grande uomo che risponde al nome di Paul Simon potesse mai concepire.

La storia è nota, ma vale la pena accennarla. Sesto album in studio (settimo, se si considera la colonna sonora One Tricky Pony del film scritto e interpretato da lui stesso e diretto da Robert Young) dopo la fine del sodalizio con Art Garfunkel, Graceland rappresenta un punto di svolta nella carriera del musicista di Newark. Dopo l'infelice riscontro commerciale di Hearts and Bones, Simon in piena crisi di ispirazione, ascolta per caso una musicassetta di un gruppo sudafricano chiamato The Boyoyo Boys e si innamora di un pezzo strumentale intitolato Gumboots per il quale inizia a scriverne delle strofe che poi canterà sovraincidendole alla parte strumentale. Il risultato sarà talmente sorprendente che Simon decide di andare in Sudafrica scoprendo che la cultura musicale e non solo di quel popolo, ancora in pieno regime di Apartheid con tutto quello che ne conseguirà a livello di polemiche per un bianco che suona con i neri, può aiutarlo ad uscire da quel periodo per lui arido. Nel 1985 organizza a Johannesburg delle sessions interagendo con diversi musicisti sudafricani, con i quali nasceranno la maggiorparte dei brani poi inclusi nell'album. Il tutto verrà poi affinato a New York l'anno successivo diventando quello che è il maggior successo di Paul Simon nonchè primo esempio commerciale di World Music.


Le fisarmoniche che aprono la prima traccia The Boy in the Bubble, seguite da quel giro di basso inconfondibile di Bakithi Kumalo, ci catapultano in un mondo di suoni cui oggi probabilmente siamo avvezzi ma che allora era un'assoluta novità: percussioni tribali, cori a cappella zulu, sonorità prettamente etniche. Non si fa in tempo a finire di godersi tali melodie rimarcate in sottofondo dai cori angelici femminili che parte la title track Graceland, una sorta di mix tra musica country e ritmi tribali scanditi dal solito basso pulsante. I Know What I Know colpisce subito per come un incredibile coro africano si possa integrare così bene con una melodia scandita da chitarre puramente americane. Il lato A si chiude con la succitata Gumboots seguita dalla splendida Diamonds on the Soles of Her Shoes, piccolo capolavoro in se introdotta dal duetto tra Simon e il gruppo corale dei Ladysmith Black Mambazo, qualcosa di magico ad ascoltarlo ancora oggi. In questo brano, tra gli altri, possiamo ascoltare anche le percussioni di Youssour N'Dour.

In apertura di lato B c'è il brano che, almeno inizialmente, ha trainato il successo dell'intero lavoro. Quella You Can Call Me Al il cui video, impreziosito dall'interpretazione di Chevy Chase, ha fatto il giro del mondo. Forse non il brano più bello, ma certamente il più cantato. Ancora un magico duetto, questa volta con l'incantevole voce di Linda Ronstadt, ci catapulta sotto gli sconfinati cieli africani: Under African Skies dove Simon ha trovato 'le radici del ritmo'. Homeless è un raffinato gioiello composto a due mani da Simon stesso e Joseph Shabalala dei Ladysmith Black Mambazo e cantato a più voci, in inglese e in lingua zulu, senza l'uso degli strumenti dei quali non si sente affatto la mancanza. Strumenti che tornano nella successiva Crazy Love Vol. II dagli arrangiamenti caraibici e soprattutto nei due brani che chiudono il disco: That Was Your Mother e All Aound The World or The Myth of Fingerprints nelle quali però spariscono completamente i ritmi africani a favore di melodie dal sapore country.

Nel 1986 l'uscita di Graceland è stata un evento, il pretesto per portare in occidente la cultura, i ritmi, le melodie e i profumi della gente sudafricana, senza cadere, e fu ampiamente criticato per questo, nella tentazione di raccontare banalmente gli orrori dell'apartheid. Senza macchiare la positività di quelle esperienze con la negatività dei contrasti interni che solo con la liberazione di Nelson Mandela nel 1990 e la sua successiva elezione a presidente del Sudafrica hanno provato a debellare. Un disco in cui Paul Simon ha cantato solo le bellezze di quella meravigliosa terra.



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