giovedì 16 maggio 2013

I 30 dischi che mi hanno cambiato la vita

Questa è la famosa lista dei dischi che mi hanno cambiato la vita o che più propriamente hanno caratterizzato le varie fasi musicali e non della mia esistenza fino ad ora. Era mia intenzione arrivare ad una ventina di titoli, che già si potevano considerare abbastanza, ma dopo una prima veloce selezione ne avevo trascritti oltre cinquanta! E' stato un lavoro lungo e doloroso doverne fare una scrematura ma alla fine sono giunto a trenta album (meno è impossibile) che posso considerare i più importanti per la mia formazione musicale, in alcuni casi forse non i più belli o i più meritevoli di entrare in una classifica dei migliori album rock, ma certamente quelli che per me hanno contato più di altri, i più consumati, gli album che mi hanno fatto conoscere e apprezzare un determinato filone musicale o un particolare artista. Non è quindi una classifica dei miei album preferiti, che può cambiare a seconda dell’umore o del periodo, ma una lista di dischi a cui per tanti motivi sono rimasto più legato e che porterei con me nella sempre più inflazionata isola deserta.
Cominciamo:

imagePink Floyd – The Wall (1979)
Non il primo album rock che ho avuto, ma il primo che mi ha folgorato a tal punto da eleggere la band di Waters, Gilmour, Wright e Mason (in seguito scoprii che il tutto ebbe origine dalla mente tanto geniale quanto fragile di Syd Barrett) a mio gruppo preferito al di sopra di ogni altro. Ogni nota di questa meraviglia è impressa a fuoco nella mia mente sin dai miei 16 anni. 
imageEric Clapton – Just One Night (1980)
Primo album rock acquistato in vinile (doppio) dal mio negoziante di fiducia che in precedenza mi aveva visto solo per 45 giri pop anni ‘80 e qualche lp di Venditti o Madonna. Avevo 15 anni e l’ho ascoltato fino a che la puntina del mio giradischi non lo mandò a memoria.
imagePaul Simon – Graceland (1986)
Quest’album lo vinsi partecipando ad un concorso a premi su Televideo (!) e già al primo ascolto, cui ne seguirono una 'tecnicissima' caterva, fu una scoperta sconvolgente. Non ero ancora in grado di comprendere che tale accostamento di suoni e ritmi africani era una novità anche per un appassionato maturo, ma mi resi benissimo conto che mi trovavo di fronte ad un capolavoro senza tempo. Ancora oggi ineguagliato. Somebody say ih hih ih hih ih…
imageJethro Tull – Bursting Out (1978)
Cassettina da ‘90 masterizz… ehm duplicata da un compagno di liceo assieme ad un altro live celeberrimo (Alchemy, il prossimo della lista). Questo disco mi ha fatto amare alla follia la band di Ian Anderson e il suo flauto magico a tal punto da convincere i miei a prendere lezioni di flauto traverso, mollate inesorabilmente dopo estenuanti sessioni di solfeggio e senza neanche essere riuscito a tirar fuori una sola nota da quel diabolico strumento.
imageDire Straits – Alchemy (1984)
Anche questo album dal vivo ebbe un posto di primo piano nella mia formazione musicale di quegli anni. Undici brani con un unico immenso protagonista: la chitarra di Mark Knopfler, capace di rapire completamente la mia attenzione ad un concerto dei Dire Straits a Cava dei Tirreni qualche anno dopo. L’assolo di chitarra di Sultans of Swing l’avrò mimato almeno un migliaio di volte.
imageGenesis – Selling England By The Pound (1973)
A 17 o 18 anni trovai un libretto, su una rivista che compravano i miei a quel tempo, che indicava i migliori 100 album della storia del rock, divisi per decade. A questo lavoro dei Genesis veniva dato un risalto particolare per quel che riguarda il rock progressivo. Non me lo feci ripetere e me lo procurai. Ancora oggi uno dei miei preferiti del gruppo di Gabriel e del genere tutto.
imageBruce Springsteen – The Wild, The Innocent & The E Street Shuffle (1973)
Nel 1990 uscì in edicola una delle prime enciclopedie del rock con allegato un cd (ce l'ho ancora in bella mostra completamente rilegata in 6 volumi con tutti i cd annessi). Al primo numero era allegato il secondo, bellissimo, album del Boss, che già conoscevo vagamente per Born in the USA. Neanche a dirlo letteralmente consumato nel mio primo lettore cd.
imageDeep Purple – In Rock (1970)
Il mio primo, vero, approccio ad una musica rock più dura, elevate distorsioni di chitarra, batterie dai ritmi più vorticosi, quello che è stato l'hard rock degli anni settanta. L'intro di Speed King fu un autentico colpo nello stomaco mentre Child In Time mi mise del tutto KO.
imageBlack Sabbath – Volume 4 (1972)
Un altro caposaldo della musica più dura, precursore dell'heavy metal, il quarto lavoro in studio dei Black Sabbath introduce, nei miei ascolti, quel giusto contraltare di oscurità che non poteva mancare nella vita di un rocker in divenire.
imageThe Who – Tommy (1969)
Ho conosciuto gli Who con il bellissimo live Join Together, ascoltando il quale mi sono innamorato delle canzoni di questo magnifico concept. La prima vera opera rock mai concepita, da me ammirata (e cantata interamente) anche a teatro.
imageLou Reed – Transformer (1972)
Sono stato a lungo indeciso se citare questo o il debutto dei Velvet Underground (quello con la banana in copertina), ma devo ammettere di aver fatto il percorso all'inverso, andandomi a ripescare in seguito i lavori assieme a John Cale e Sterling Morrison. Quindi il battesimo con Lou Reed l'ho avuto con Transformer e in particolare con Vicious.
imageThe Clash – London Calling (1979)I Clash sono un altro gruppo che ho scoperto grazie all’enciclopedia del rock di cui sopra e ascoltando questo incredibile doppio album me ne sono innamorato e ho cominciato ad interessarmi anche di punk e ska, due generi spesso in simbiosi, qui integrati alla perfezione.
imageThe Beatles – Revolver (1966)
Ho scoperto i Beatles davvero troppo tardi, inizialmente snobbati con una delle tante raccolte che però non gli rendeva merito. Poi l'ascolto di questo geniale lavoro mi ha fatto rinsavire e me li ha fatti collocare al posto che hanno di diritto nella piramide della musica moderna, vicino al vertice più alto.
imageFrank Zappa – Grand Wazoo (1972)
Frank Zappa se ne è andato troppo presto, anche se ha fatto in tempo a lasciarci una discografia sterminata fatta di alti (tantissimi) e bassi (qualcuno). Grand Wazoo si colloca tra le sue migliori produzioni ed è un perfetto esempio di come Rock e Jazz possono andare a braccetto senza far storcere il naso ai puristi di entrambi i generi.
imageFrancesco De Gregori – Titanic (1982)
De Gregori è il cantautore italiano che ho apprezzato per primo (assieme a Venditti con Theorius Campus e poi con il mini La Donna Cannone) e questo è il primo vero album dell'artista romano che ho amato, cantato, suonato.

imageFrancesco Guccini – Fra la via Emilia e il west (1984)
La mia più grande passione nel campo della musica italiana. Il vate di Pavana, da poco ritiratosi dalle scene, è, per distacco, l'artista che ho ammirato più volte dal vivo, seguendo tutte le fasi della sua seconda parte di carriera e imparando a memoria i testi, ricercati, mai banali, di tutte le sue canzoni. Ancora oggi ringrazio quell'amico che mi prestò la mitica cassettina di Fra la via Emilia e il west che me lo ha fatto conoscere e poi adorare.
imageLitfiba – 17 Re (1986)
Il rock nazionale passa per via dei Bardi a Firenze, sede della cantina dove nacquero i Litfiba. Il gruppo di Pelù e Renzulli è stato, secondo me (almeno fino a quando non si sono rincoglioniti) il più grande gruppo di rock italiano, punto. 17 Re non è stato l'album che me li ha fatti conoscere (il merito spetta al successivo Litfiba 3) ma è stato quello certamente più ascoltato e probabilmente anche l'apice mai eguagliato della loro carriera.

imageGuns N’Roses – Appetite For Destruction (1987)
Il debutto dei Guns N' Roses è stato il mio primo vero approccio all'heavy metal (anche se, a dire il vero, per i puristi del metal questa è musica da camera), nonostante i tentativi andati a vuoto di un compagno di classe che ha provato a convertirmi a Iron Maiden e NWOBHM durante il liceo. Solo dopo quest'album ho iniziato con curiosità ad esplorare il genere, scoprendo un mondo.
imageMetallica – Master of Puppets (1986)
Uno dei primi gruppi metal (sul serio) che presero piede (e doppia cassa) nella mia cameretta e contribuirono pesantemente al deterioramento dei rapporti con i vicini e con mia madre furono i Metallica. Anche qui conosciuti con il black album e amati con l'immenso Master of Puppets.
imageDream Theater – Images and Words (1992)
Ad un certo punto della mia vita avevo un passato di rock progressivo ed un presente metallaro. La conseguenza di ciò non potè che essere l'ascolto di Images and Words dei Dream Theater con successivo innamoramento. Da quel momento in poi presi a procurarmi tutto ciò che veniva anche lontanamente paragonato a questa band, fino all'immancabile nausea.
imageNirvana – Nevermind (1991)
Nei primi anni novanta scoppia l'ondata grunge che travolge tutto e contamina ogni band di quel momento. Per quanto mi riguarda (così come per molti) la scintilla è scoccata con Nevermind, da me acquistato quasi per caso, e in poco tempo divenuto icona del rock anni novanta.
imagePearl Jam – Vs. (1993)
A questo punto non posso proprio tralasciare l'altra grande band di Seattle, i Pearl Jam, ancora oggi tra i miei ascolti preferiti. La voce di Eddie Vedder è quella che ho sempre sognato di avere, calda, profonda e allo stesso tempo potente. L'album al quale sono più legato è il secondo, comprato il giorno stesso dell'uscita nei negozi.
imageConsorzio Suonatori Indipendenti – Linea Gotica (1996)
Sui CSI c'è da dire che in principio li detestavo. Ogni volta che capitava di ascoltarli in radio mi innervosivano e spesso finivo per cambiare stazione. Poi, convinto non so come a vederli dal vivo, il mio giudizio è cambiato drasticamente e in poco tempo hanno scalato posizioni nella mia classifica personale fino a diventare uno dei miei gruppi preferiti del momento. Era il 1996 ed era appena uscito Linea Gotica.
imageRush – Exit… Stage Left (1981)
Nella mia ricerca spasmodica di gruppi metal progressivi, dopo l'avvento dei Dream Theater, sono per fortuna andato anche indietro nel tempo per conoscerne i precursori, imbattendomi nel trio canadese che diversi anni prima ha gettato le basi del genere. L'album dal vivo a coronamento del periodo più progressivo dei Rush è quanto di meglio si possa chiedere per soddisfare i bisogni di un appassionato di prog metal.
imageMorphine – Cure For Pain (1993)
Per far capire quanto ci tenga ai Morphine basti sapere che ero presente a quella maledetta serata estiva a Palestrina in cui perse la vita Mark Sandman subito dopo aver pronunciato queste parole: E' una serata bellissima, è bello stare qui e voglio dedicarvi una canzone super sexy... Non la cantò mai e io tornai a casa con le lacrime che mi velavano gli occhi.
imageSystem of a Down – Toxicity (2001)
Della serie: come ti sconvolgo un genere e il tuo modo di ascoltare musica. Nei miei ascolti metallici c'è un prima e un dopo System of a Down, dove prima prevalevano tecnicismi e assoli di chitarra elettrica mentre dopo quest'album il mio gusto si è spostato decisamente su sonorità violente, e poichè in seguito non ho più trovato alcuna band che andasse oltre, da quel momento ho semplicemente detto basta con il metal.
imageDead Can Dance – Spleen and Ideal (1985)
Parallelamente alle scorribande metalliche, alla riscoperta del rock più semplice e alle puntate nel progressive, nei miei ascolti si facevano avanti piano piano le musiche celestiali di Lisa Gerrard e Brendan Perry in arte Dead Can Dance. Un lento ma progressivo insinuarsi nella mia testa di un qualcosa di unico ed irripetibile, un capitolo a parte nel panorama musicale internazionale e per questo ineguagliabile.
imageSpiritualized – Ladies and Gentlemen We Are Floating in Space (1997)
Probabilmente il migliore album di space rock psichedelico di sempre. Intriso di gospel, soul, partiture orchestrali, anthem ipnotici e cavalcate cosmiche. Un disco che è cresciuto ascolto dopo ascolto fino a diventare inarrivabile per intensità, pathos e magniloquenza.
imageNew Model Army – Impurity (1990)
Per i New Model Army la scintilla scocca grazie ad una maglietta che mi piaceva molto, indossata da un tizio a scuola. Vedendo in seguito questo album in un negozio e ricordatomi di quella scritta sulla maglietta non esitai a farlo mio e aggiungere così un altro gruppo all’elenco delle mie fisse. L’attacco di Get Me Out è da brividi, anche se i dischi precedenti erano qualche gradino più in su. La maglietta poi me la comprai ad un concerto memorabile al Frontiera qualche anno dopo.
imageMogwai – Rock Action (2001)
Con questo lavoro dei Mogwai, letteralmente assimilato sotto pelle, mi sono appassionato anche di post rock. La band scozzese mi ha aperto ancora una volta un mondo in cui ricercare e quindi consumare tutta una serie di band, a me prima ignote, dedite a questo genere. Ancora oggi mi piace perdermi nelle lande desolate dipinte dalla lentezza di questa musica e dalle sue esplosioni improvvise, anche se convengo che l’evidente monotonia di tali scenari ha di fatto impedito l’evoluzione del genere. 

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